Bullismo: perché accade, come riconoscerlo e come affrontarlo a casa e a scuola. Intervista a Giorgio Conti, Psicologo Psicoterapeuta.

Bullismo: perché accade e come riconoscerlo | Ne parliamo con il Dott. Giorgio Conti, Psicologo Psicoterapeuta

L’ultima campagna di monitoraggio per valutare su larga scala la presenza e l’andamento dei fenomeni di bullismo e cyberbullismo nelle scuole italiane mostra risultati sui quali occorre fermarsi a riflettere. Il Ministero dell’Istruzione ha reso noti i dati sulla piattaforma ELISA (formazione in E-Learning degli Insegnanti sulle Strategie Antibullismo), risultato dell’indagine svolta nell’anno scolastico 2021/2022 e alla quale hanno partecipato studenti e docenti.

Al monitoraggio hanno partecipato 314.500 studenti che frequentano 765 scuole statali secondarie di secondo grado e 46.250 docenti di 1.849 Istituti Scolastici statali. Il 22,3% degli studenti e studentesse delle scuole superiori è stato vittima di bullismo da parte dei pari, mentre Il 18,2% ha preso parte attivamente a episodi di bullismo verso un compagno o una compagna.

Alla luce di ciò che raccontano i dati abbiamo voluto approfondire l’argomento con Giorgio Conti, Psicologo Psicoterapeuta e profondo conoscitore del potere della parola. Suo è infatti il progetto Write Club Lab che dal 2012, attraverso le possibili applicazioni della scrittura e della lettura, promuove la narrazione come forma di espressione personale, per la salute, il benessere e la crescita personale.

Bullismo perché accade, come riconoscerlo e affrontarlo | intervista al Dott. Giorgio Conti Psicologo Psicoterapeuta
Il Dott. Giorgio Conti, Psicologo Psicoterapeuta

Partiamo dalle presentazioni: chi è Giorgio Conti?
Sembra una domanda semplice ma non lo è. Se dovessi parlare di me mi verrebbe spontaneo raccontare una storia. Faccio un piccolo inciso. Ho visto il vostro lavoro e quello che fare sul sito e le vostre interviste. Vedo che siete delle buone penne. Grazie per lo spazio e per l’intervista.
Nasco con una formazione tecnica da disegnatore meccanico, che mi permette di lavorare subito dopo il diploma. Questa è stata la mia prima vocazione, ma subito dopo mi sono reso conto che gli sbocchi lavorativi non erano quelli ai quali avrei ambito. Così ho deciso di investire ciò che avevo messo da parte per continuare la mia formazione e intorno ai 24 anni ho iniziato il percorso universitario. A quest’ultimo ho abbinato il percorso da agevolatore nelle relazioni individuali e nei gruppi. Inoltre, mi è capitato durante l’università di avere esperienze con la scrittura presso l’Università di Chieti, polo di eccellenza sulle neuroscienze. Ho avuto occasione di prendere parte ad una ricerca sulla scrittura, si trattava in particolare dell’adeguamento delle ricerche condotte da Pennebaker sul campione italiano. A fine ricerca ho chiesto informazioni e quella è stata la prima volta in cui ho ascoltato il nome di questo ricercatore, Pennebaker. Inoltre, ebbi l’occasione di svolgere un semestre di approfondimento presso la stessa cattedra che proponeva questa ricerca. In sei mesi ho avuto la possibilità di confrontarmi con tutte le ricerche di questo autore, dal primo articolo di Pennebaker del 1986 ritenuto significativo a tanti altri lavori successivi. Pennebaker utilizza la scrittura come psicologo sociale, in contesti sociali. Avevo già intuito il potere della parola, ma quell’incontro mi ha fatto incontrare la scrittura come contesto di applicazione della parola intimo e privato. Mi sono, così, appassionato a questo ambito, ho completato il percorso universitario e da agevolatore (counseling), e dopo l’università ho conseguito la specializzazione, orientamento psicoanalitico, perché mi sembrava il modello più interessante, più ghiotto, quello che fa vedere maggiormente le radici dello sviluppo della mente. Credo di aver tratteggiato chi sono. Sono colui il quale lavora a ridosso di questi ambiti:  scrittura e psicoterapia.

Noi che ti conosciamo un po’ di più rispetto alle persone che leggono sappiamo che ti occupi di benessere psicologico. Per questo vorremmo affrontare con te il tema del “Bullismo”. Da dove partire per inquadrare il fenomeno?
Sicuramente intuite bene quando identificate questo fenomeno come complesso articolato e centrato su un aspetto emotivo. Per parlare di un tema articolato e complesso come quello del bullismo bisogna creare una cornice che più è ampia e maggiormente descrive la situazione. Ci sono 3 aspetti da considerare: personale, sociale e ambientaleCi troviamo, infatti, davanti ad una persona che agisce in un contesto relazionale e in un ambiente più ampio, che lo circonda. La comparsa del fenomeno solitamente avviene tra i 12 e i 17 anni , anche se ci sono delle forme precoci che compaiono già a 11 anni. Perché in questa fase? Perché compare l’adolescenza, periodo che mette in gioco tutte le acquisizioni che l’individuo ha fatto negli anni precedenti.
Può risultare controintuitivo pensare che essere persone migliori origini dalla capacità che abbiamo appreso di superare momenti di difficoltà, di accettare e tollerare emozioni negative e far fronte a situazioni di angoscia. La mente non nasce dalle esperienze positive, la mente nasce dalla capacità di affrontare esperienze altamente impattanti con un valore emotivo negativo. Tutto questo è controintuitivo e può riassumere con una frase di Gibran: più il dolore ti scava dentro, più saprai contenere amore.
Un ambiente troppo confortevole e con pochi stimoli non ha mai fatto crescere nessuno. Sono le difficoltà a farci crescere.
In adolescenza succede proprio questo: si mettono in discussione tutte le acquisizioni possedute. Le capacità sviluppate si mettono in campo e si consolidano, mentre emergono le difficoltà che si sono verificate nel percorso evolutivo dell’individuo. Questo perché l’essere umano ha una tendenza innata alla conflittualità: l’individuo nascente si divide tra riposo e angoscia ed è il genitore che di volta in volta, relazionandosi con il bambino e offrendogli delle cure, permette al bambino di interiorizzare un modello che consente una forma di accettazione e contenimento delle emozioni più negative. Un po’ come se il genitore inculcasse nel bambino la fiducia che ciò che sta sentendo è qualcosa di transitorio e che può essere superato in modo positivo. Quando questo messaggio non arriva da parte del genitore, durante l’adolescenza tende ad emergere un’incapacità che possiamo definire incapacità di contenere. Se presente è bene che venga fuori durante il periodo adolescenziale poiché quest’ultimo rappresenta ancora un valido momento per l’apprendimento.
In merito alla dimensione sociale, invece, anche nei gruppi è importante un momento conflittuale. Uno psicologo che ha svolto importanti studi sui gruppi, Tuckman, afferma che un gruppo diventa un gruppo di lavoro quando affronta un momento conflittuale. Questa fase viene definita dallo stesso autore storming e in caso di mancanza il gruppo resta un gruppo formale. Tale dimensione la riscontriamo in tutti i contesti sociali: prendiamo, ad esempio, i nostri 18 anni. Rappresentano un momento di iniziazione verso l’età adulta e, come tutti i percorsi di iniziazione presentano un momento conflittuale.
Infine, l’ultimo aspetto da considerare quando parliamo di bullismo è l’ambiente. Quest’ultimo assume durante il periodo adolescenziale il ruolo che ha avuto il genitore della prima infanzia. Per questo da una parte è importante che sia presente, dall’altro che non abbiamo lo stesso ruolo del genitore se quest’ultimo non è stato sufficientemente attento. L’emergere di aspetti conflittuali durante la prima adolescenza è fisiologico, assume rilevanza a livello negativo nel momento in cui questo passaggio non trova risposta nella domanda che il giovane rivolge ai pari e al contesto sociale. 

A partire dal 2017, con la legge n°71, distinguiamo tra Bullismo e Cyberbullismo. I due fenomeni hanno caratterizzazioni proprie, ma anche aspetti in comune, come il mancato riconoscimento dell’altro/a. Cosa c’è alla base di tali manifestazioni?
Cogliete il cuore del fenomeno. Credo sia sempre difficile dare una risposta a tratti definitiva, perché la soggettività umana è qualcosa di così vario che è impossibile generalizzarla. Le ricerche che ha fatto Wells, psicologo svedese, parla abbastanza chiaro e mette al centro le capacità emotive. Il bullo e la vittima hanno un aspetto che li accomuna: una bassa intelligenza emotiva, ossia una bassa capacità di riconoscere le emozioni.
Le emozioni sono un metodo di comunicazione primordiale e al tempo stesso estremamente efficace, con una funzione sociale ben precisa. Nel momento in cui non si riesce a capire cosa c’è dentro le emozioni e cosa dicono di noi, può capitare di ritrovarsi in situazioni e contesti estremamente imprevedibili. Questo è l’aspetto centrale del problema.
Cosa accade quindi? Le emozioni hanno un ruolo importante: mettere in relazione le persone, creare legami. Il bullismo, più del cyberbullismo ha la capacità di creare relazioni estremamente forti. D’altra parte la ricerca di relazioni forti è uno degli aspetti che caratterizza la fase adolescenziale, momento in cui ragazzi e ragazze iniziano ad allontanarsi dal nucleo familiare per abbracciare una realtà più ampia e indefinita. 

Non è inusuale pensare che gli episodi di bullismo richiedano un intervento a favore della vittima. In realtà sappiamo bene che anche il bullo/a ha bisogno di aiuto. In caso di tali fenomeni, in quale direzione dovrebbe andare un intervento educativo efficace?
Un intervento dovrebbe andare nella direzione di fornire delle occasioni sociali che possano in qualche modo dare quel tipo di ascolto e di contenimento che precedentemente è stato carente. È importante che gli adolescenti possano esprimere quello che sentono.  Quando noi esseri umani manifestiamo un comportamento che può assumere tratti eccessivi o patologici, non funzionali, siamo sempre in presenza di un’espressione che è il risultato di una drammatizzazione all’esterno di un processo che sta avvenendo nell’interiorità dell’individuo. Questo per dire che la prima necessità è sempre quella “consapevolezza”. Il primo aspetto è sempre quello di poter esprimere ciò che si sente. Creare un ambiente in cui ci si può esprimere è fondamentale. Superata questa prima fase, è altrettanto importante fornire uno spazio espressivo in cui la corporeità assume un ruolo preponderante, la cui riuscita dipende anche dalle capacità di ognuno di noi, dalla formazione e dal saper accogliere l’altro. Uno spazio in cui bisogna parlare e anche agire, perché l’azione è l’aspetto principe dell’adolescenza. Uno spazio in cui poi si può parlare anche di relazioni sociali. L’aspetto delle emozioni e degli affetti in questo modo compare quasi da sé. Sicuramente non va considerato soltanto il bullo altrimenti non si va ad alleggerire il fenomeno. 

Nel contributo pubblicato da PISANO L., SATURNO M.E. (2008), Le prepotenze che non terminano mai, in «Psicologia Contemporanea», 210, 40-45, gli autori stilano alcune caratteristiche che differenziano bulli/e e cyberbulli/e e, al tempo stesso, mettono in evidenza come il bullismo sia un fenomeno legato al contesto scolastico e al gruppo dei pari. Quali sono le figure che in questa fase dell’età evolutiva possono contribuire a contrastare il fenomeno?

Le vostre domande sono estremamente interessanti. Spenderei prima due parole per differenziare cyberbullismo e bullismoI due fenomeni hanno come aspetto in comune la prevaricazione e la vittimizzazione verso una persona, quindi la messa in campo di comportamenti definibili aggressivi, un’insicurezza sia da parte del bullo sia della vittima, la sofferenza psicologica e fisica della vittima.
La differenza principale consiste nel fatto che il cyberbullo, rispetto al bullo,  mantiene anonimato e distanza. Per questo il cyberbullismo rappresenta un fenomeno meno evidente e meno appariscente. Il sintomo non è “visibile” ed è bene tenerne conto perché proprio il sintomo è un primo passo verso la guarigione.
Si parla molto della presa in carico di équipe in cui ci sono diverse figure e ognuna si focalizza su un aspetto o su un destinatario del fenomeno. Meritano attenzioni gli individui che ricoprono il ruolo di bullo, vittima, ma anche il gruppo dei pari, in una posizione intermedia tra la parte del fenomeno direttamente chiamata in causa e l’ambiente, attraverso forme di compartecipazione.
Infine, c’è una dimensione individuale e sociale del problema nella quale entrano anche gli adulti, ossia gli insegnanti, i genitori e tutte le persone che possono assistere al fenomeno. Il bullismo può essere considerato come una ricerca di attenzioni. Ognuno di noi diventa potenzialmente soggetto di intervento se assiste a determinati fenomeni. 

 

Bullismo: perché accade, come affrontarlo e come riconoscerlo a casa e a scuola
Per comprendere il fenomeno del bullismo è necessario delineare una cornice più ampia sulla quale riflettere

La famiglia rappresenta la prima agenzia di socializzazione, il luogo anche fisico nel quale fin da bambini si inizia a costruire relazioni con gli altri. In che misura è responsabile nel momento in cui un/a figlio/a veste i panni del bullo/a e in che modo può influire nelle azioni di prevenzione, tutela e contrasto del fenomeno?
Io mi rifaccio sempre alle ricerche di Dan Olweus che se da una parte sono datate, dall’altra sono quelle che hanno tracciato le direttive secondo cui identificare il fenomeno del bullismo. Dalle sue ricerche emergono diversi aspetti:

  1. il  contesto familiare che ricorre nei soggetti bulli è un ambiente familiare che da una certa età in poi è assolutamente permissivo, non pone limiti e non responsabilizza. Non è sufficientemente attento al proprio ruolo genitoriale, ossia saper dire NO mantenendo la relazione. 
    Il genitore, fin dai primissimi mesi di vita dei bambini, deve mediare, tollerare fino ad un certo punto e poi intervenire. Il ruolo del genitore è quello di essere presente pur dando libertà al bambino di dare forma alla sua identità. Nel momento in cui non sono presente io declino la responsabilità genitoriale. Il bullo urla un’esigenza di relazione. 
  2. una prima infanzia caratterizzata da genitori che utilizzano anche punizioni fisiche.
  3. forte presenza genitoriale nella prima infanzia che scompare non appena il bimbo diventa un piccolo adulto.
  4. scarsa presenza emotiva del genitore nella primissima infanzia. 

I paesi del nord hanno una particolare attenzione all’accudimento dei giovani. Un esempio? Avere spazi all’interno degli ambienti lavorativi dedicati ai figli. Ciò non significa che i paesi del Nord Europa sono migliori degli altri Stati membri, ma è innegabile che la presenza emotiva in alcuni casi è difficoltosa se non assente. 
Cosa può fare il genitore? Questa è una domanda complessa e difficile. Da un certo punto di vista il bullismo è un fenomeno che nasce all’interno dell’ambiente affettivo familiare e in questo senso è difficile pensare che il genitore possa fare qualcosa personalmente. Ci sono casi in cui, a prescindere dalle intenzioni, i fattori ambientali sono preponderanti anche quando siamo in presenza di genitori “perfetti”, ovvero genitori sufficientemente buoni, presenti e capaci di dare la giusta libertà, subentrano altri fattori come traslochi, spostamenti, allontanamenti di vario tipo all’interno del nucleo familiare che seguono lo sviluppo, la crescita e l’esperienza del giovane.
La prima cosa che può fare un buon genitore è quello di porsi domande. Non deve dare soluzioni, ma interrogarsi su ciò che sta accadendo e sulla sua posizione rispetto a ciò che sta accadendo. In adolescenza è ancora più difficile fare questo, il compito del genitore è quindi quello di reggere e sostenere le azioni del figlio offrendo relazione. Esempio: se mio figlio mi porta la rabbia io la reggo, ma non l’alimento. Il genitore, però, deve chiedersi fino a che punto può reggere la provocazione. Un esempio che porto sempre a tale proposito è quello del neonato che piange. Il genitore si chiede: “Cosa posso fare?” E trova la risposta.
La tecnica è la stessa, perché l’adolescenza dà una seconda chance al genitore di accogliere una richiesta. Il genitore può scegliere se accogliere o meno questa richiesta. Bisogna, quindi, saper dire no se si avverte di non essere capaci e di chiedere aiuto. Qualsiasi cosa il genitore faccia è importante riconoscere il proprio portato umano. Il colpevolizzare e il cercare a tutti i costi soluzioni veloci non sono mai soluzioni valide, al contrario alimentano difficoltà e situazioni delicate. 
La cultura da cui proveniamo ha poco a che fare con l’era post moderna. La famiglia, da un punto di vista culturale, è un media sociale e fin da subito offre al bambino la possibilità di avere spazi altri. Se il genitore vede costantemente il figlio può non rendersi conto dei cambiamenti. Per questo è importante il rapporto con altri. Uno di questi spazi può essere la scuola, ma non è l’unica. Sono tante le agenzie attraverso le quali creare altri spazi. Noi, ad esempio, siamo cresciuti con l’oratorio, gli amici sotto casa. Ad ogni modo è importante la presenza di qualcuno che possa guardare dall’esterno, offrire uno spazio altro e che possa in qualche modo sollevare in parte il genitore.

Come di consueto ci piacerebbe terminare l’intervista con un consiglio rivolto a chi si trova a essere vittima di episodi di bullismo e cyberbullismo, ma anche a chi ha scelto di vestire i panni del bullo/a e a chi quotidianamente si trova a contrastare episodi di questo tipo, come educatori, docenti, formatori, genitori. Da dove partire per uscire da situazioni di questo tipo e per mettere in atto azioni di prevenzione efficaci?

Cercare di abbracciare la cultura dell’essere meno performanti ed essere più umani. Accettare la propria umanità per poter accettare quella degli altri. Il genitore ha un ruolo importante nei confronti del figlio, ma al tempo stesso è il figlio che rende il genitore tale. Non bisogna spaventarsi di fronte le richieste del figlio, ma neanche sottostimarle. Bisogna lasciarsi la possibilità di affidare parte dell’educazione dei propri figli ad altre agenzie e riconoscere, così, i propri limiti. Se non ho tempo, se non ho risorse affettive adeguate, è bene delegare. L’adolescenza è un momento importante, ma come genitori bisogna rispettare i propri limiti che sono limiti umani. Non è sempre necessario dire ai propri figli cosa è giusto e cosa è sbagliato, ovvero dire ai figli cosa devono fare e come devono farloIn termini di prevenzione questo è l’atteggiamento più positivo che un genitore può attuare. Non è necessario essere perfetti, ma è bene essere consapevoli dei propri limiti poiché non si è perfetti, non siamo chiamati ad essere dei super eroi. Ai ragazzi e alle ragazze è bene raccontare che intorno c’è un mondo ricco di occasioni e che in qualche modo meritano di poterle scoprire e conoscere. C’è qualcosa oltre i propri limiti ed è bene esplorare.

 

Vuoi restare in contatto con Giorgio? Ecco dove trovarlo:

Pagina Facebook: Dott. Giorgio Conti
Pagina progetto: Write Club Lab

Hai trovato utile questa intervista? Pensi possa interessare o aiutare persone che conosci? Condividila con loro! Aiuterai, inoltre, il progetto Scuola di Comunicazione Gentile a farsi conoscere!

Safer Internet Day: insieme per un internet più sicuro

Safer Internet Day | Immagini di adolescenti al computer

L’8 Febbraio 2022 è il Safer Internet Day. L’evento, promosso dalla Comunità Europea, coinvolge più di 200 paesi in tutto il mondo.
L’obiettivo è quello di rendere le giovani generazioni, e non solo, più consapevoli nell’utilizzo del web e più attente nel riconoscere potenziali minacce in rete. 

Cos’è il Safer Internet Day

Il Safer Internet Day è una giornata dedicata alla promozione di un internet più sicuro. Nata nel 2004, è coordinata a livello globale dalla rete Insafe e a livello nazionale dai singoli Safer Internet Center. Il SID si svolge ogni anno nel 2° giorno della 2° settimana di febbraio e si compone di un ricco calendario di eventi, convegni e campagne pubblicitarie dedicati ai temi della sicurezza online e all’analisi di fenomeni come cyberbullismo, sexting, revenge porn, dipendenza dai dispositivi mobili, cybersecurity.
Lo slogan che accompagna l’iniziativa è “Together for a better internet”, a testimoniare quanto sia importante in questo contesto la collaborazione e la condivisione di buone prassi. Una comunione di intenti che parte dalla scuola e che coinvolge diversi enti ed istituzioni, come associazioni, aziende e tutte le realtà interessate a promuovere un uso della rete consapevole. Il fine ultimo è rendere il web e i social network strumenti utili per la vita di ognuno e non un pericolo, soprattutto per bambini e adolescenti, sempre più coinvolti in episodi spiacevoli e in situazioni che compromettono la stabilità e la serenità del singolo e della famiglia. 

Il Safer Internet Centre Italia

Il Safer Internet Centre in Italia è rappresentato dal consorzio Generazioni Connesse, co-finanziato dalla Commissione Europea e inserito in una rete comunitaria consultabile online sulla piattaforma “Better Internet for Kids”.
L’ente, coordinato dal MIUR, realizza progetti educativi con partner nazionali che si occupano di sicurezza in rete:  Polizia Postale e delle Comunicazioni, il MIC, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, l’Università degli Studi di Firenze, l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Save the Children Italia Onlus, S.O.S. II Telefono Azzurro, la Cooperativa E.D.I., Skuola.net, l’Agenzia di stampa DIRE e l’Ente Autonomo Giffoni Experience.
La missione è mettere a disposizione contenuti, come linee guida, manuali, video, campagne informative, che possano aiutare bambini, adolescenti, genitori e docenti ad affrontare e superare le problematiche correlate all’utilizzo di Internet.
Il termine “connesse” sta proprio ad indicare l’intenzione di creare una comunità virtuosa online che possa contribuire alla crescita sociale della collettività e alla diffusione di una maggiore consapevolezza nell’uso dei canali digitali. 

Safer Internet Day | Persona che naviga sul web
Il Safer Internet Day ricorre ogni anno a febbraio, nel secondo martedì del mese

Sicurezza online: i dati

Il 2020 e il 2021 sono stati anni molto difficili dal punto di vista sanitario, sociale ed economico. Internet è diventato per molti l’unico ponte con la realtà esterna e, tra lockdown, DAD e smart working, siamo stati tutti perennemente connessi. Una circostanza che ha modificato le nostre abitudini di utilizzo della rete, evidenziando pregi e difetti di questa nuova quotidianità.
Secondo la Digital Consumer Trends Survey 2021, nel 2021 il 73% degli italiani che possiede uno smartphone ha utilizzato social network e app di messaggistica con cadenza giornaliera. Il 22% ha poi deciso di non utilizzare più i social network. I motivi principali che hanno portato a questa scelta sono stati:

  • essersi stancati dei contenuti (35%);
  • troppa presenza di Fake News (25%);
  • timore per la privacy (21%).

L’indagine, condotta da Deloitte, ha inoltre evidenziato che per il 23% del campione i social media sono la fonte primaria di informazione, nonostante i timori evidenziati poco prima, e che 4 persone su 5 acquistano regolarmente online.
I risultati della ricerca sottolineano da un lato incertezza e dall’altro una presenza ormai consolidata degli strumenti digitali nella vita di tutti i giorni.
Ed è in queste pieghe estremamente fragili che si insidiano i pericoli della rete e trovano terreno fertile. A dircelo sono ancora i dati. Il 2021 è stato l’anno dei ransomware, ossia i virus che bloccano le funzioni del dispositivo che attaccano e chiedono un riscatto per lo sblocco, e degli attacchi ai sistemi della pubblica amministrazione e dei presidi sanitari. Il monitoraggio della piattaforma ELISA, che ha coinvolto oltre 300 mila studenti, ci dice che nell’anno scolastico 2021, il 22.3% degli studenti ha subito attacchi di bullismo, dei quali il 7% per pregiudizio su base etnica, il 6,4% di tipo omofobico e il 5,4% per una disabilità.
Notiamo dunque che anche a livello culturale bisogna agire e che non è internet in quanto tale a generare questa tipologia di fenomeni, ma la possibilità di poter raggiungere molto più facilmente e velocemente la vittima, aiutati anche dalla distanza fisica. 

Safer Internet Day 2022 | Persone connesse in rete
Le persone sono sempre più consapevoli dei rischi della rete

3 Progetti che promuovono la sicurezza online

La piattaforma Generazioni Connesse è un portale ricco di news, materiale informativo ed educativo. Tra le varie sezioni ci sono anche quelle dedicate a progetti sulla sicurezza online, rivolti principalmente alle scuole e all’educazione di bambini e studenti delle scuole di 2° grado.
Segnaliamo 3 progetti utili per fare rete e imparare a navigare il web in sicurezza.


Piattaforma ELISA

La piattaforma ELISA, acronimo di E-Learning degli Insegnanti sulle Strategie Antibullismo, è nata dalla collaborazione tra la Direzione generale per lo studente del MIUR e il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università di Firenze.
È dotata di due principali aree: l’e-learning per la formazione dei docenti e dei dirigenti scolastici e il monitoraggio, un sistema aperto a tutte le scuole italiane per la raccolta dei dati sul cyberbullismo 

Banca Dati Nazionale e-policy

Il progetto Banca Dati Nazionale e-Policy raccoglie tutte le scuole italiane che hanno adottato un documento e-policy contenente tutte le misure per prevenire le problematiche derivanti da un uso errato delle tecnologie digitali. Il documento viene redatto insieme al team di Generazioni Connesse con un percorso specifico.
Dal sistema online si possono consultare tutti i documenti realizzati dalle scuole.

#Weareferaless – la miniserie

Lanciata durante il Safer Internet Day del 2020, #wearefearless è una miniserie prodotta in collaborazione con i ragazzi di Youth Panel, partner di Generazioni Connesse. Le puntate, che hanno come protagonisti adolescenti, genitori e docenti, affrontano i temi legati ai pericoli della rete e sono visibili sul canale youtube dedicato. Al momento sono state realizzate due stagioni:

1° Stagione https://bit.ly/wearefearless1

2° Stagione https://bit.ly/wearefearless2

Più sicuri sul web con i nostri consigli gentili

La Scuola di Comunicazione Gentile nasce per diffondere pratiche consapevoli nella gestione dei rapporti interpersonali. Il web è diventato uno strumento che utilizziamo anche per curare relazioni e comunicare con le persone che fanno parte della nostra vita.
Educare quindi ad un utilizzo consapevole degli strumenti digitali e prodigarsi per rendere internet più sicuro è uno degli obiettivi che perseguiamo.
Per vivere in maniera più serena il rapporto con i social network, i giochi digitali e tutte le piattaforme che adoperiamo quotidianamente, è importante acquisire delle conoscenze specifiche e soprattutto abituare sin da piccoli le persone ad avere un approccio diverso al mezzo che si impiega.
Nella sezione scuola del nostro sito, abbiamo inserito proposte didattiche pensate per migliorare il dialogo online e per promuovere un uso virtuoso dei sistemi di comunicazione del web.
Siamo inoltre disponibili a valutare percorsi di formazione per docenti e dirigenti scolastici e perfezionare dinamiche interne alla scuola intervenendo sul miglioramento delle relazioni in classe e fuori dalla scuola.
Un internet più sicuro è possibile, insieme.

 

 

 

 

Intervista a Elena Travaini: la disabilità non è un limite

Elena Travaini e il marito Antony | Foto Cristian Palmieri - progetto Donne fuori dall'ombra

Per la rubrica Interviste Gentili facciamo quattro chiacchiere con Elena Travaini, ballerina professionista, insegnante di danza, formatrice, TEDx Speaker, ideatrice del progetto Blindly Dancing, colpita a soli 20 giorni dalla nascita da un raro tumore alla retina – il retinoblastoma bilaterale che le ha causato la cecità, lasciando sul suo viso segni evidenti della malattia.

Foto di copertina © Cristian Palmieri – Donne fuori dall’ombra

Abbiamo chiesto a Elena Travaini di raccontarci la sua storia perché il suo trascorso e i suoi traguardi sono un condensato di emozioni diverse. Paura, rabbia, tristezza e amarezza l’hanno accompagnata durante gli anni dell’adolescenza, ma non hanno avuto la meglio. La sua grande rivincita è arrivata quando in lei si è fatta strada una nuova consapevolezza, quella che l’ha portata a vedere la sua diversità come unicità.

Ci siamo incontrate online, in una stanza virtuale e abbiamo chiacchierato a lungo, sviscerando temi a noi molto cari. Diversità, inclusione, cyberbullismo e violenza online, perché proprio lei è una delle tante vittime di quegli episodi di hate speech che ogni giorno si consumano in rete. Ad Elena abbiamo rivolto domande dirette e mirate, lasciando a lei la possibilità di addentrarsi o meno nei dettagli. Siamo partite dall’intento di capire chi fosse Elena, la persona, la ragazza di tutti i giorni che ha scelto di percorrere una strada non di certo in discesa.

Elena Travaini | Progetto fotografico Sotto la corazza
Elena Travaini in posa per il progetto fotografico Sotto la Corazza – Body Painter Silvia Gozzi

Elena iniziamo subito con una domanda facile. Chi è Elena Travaini?

Mi piace dare un messaggio positivo: in primis sono la mamma di una pargoletta di 13 anni e questo è il lavoro che mi rende più orgogliosa. Sono una mamma giovane, le amiche di mia figlia mi adorano e saccheggiano il mio armadio. Poi sono una moglie e anche questo non è un lavoro da poco. Mio marito è anche il mio partner di ballo e proprio con lui è nato il progetto di sperimentazione della danza al buio “Blindly Dancing”. Siamo entrambi insegnanti diplomati ANMB (Associazione Nazionale Maestri di Ballo) e AIMB (Associazione Italiana Maestri di Ballo). Sono una ballerina professionista, insegnante di danza e ideatrice del metodo sperimentale di insegnamento di danza al buio. Proprio grazie a questo metodo di insegnamento sono diventata una formatrice e nel 2017 ho vinto il premio TOYP come eccellenza italiana nel campo della crescita personale. Nell’ultima fase della mia vita sono diventata anche una modella e una fotomodella, un’esperienza attraverso la quale l’utilizzo dell’immagine serve a veicolare un messaggio positivo. Nonostante il bullismo, nonostante gli insulti e nonostante i momenti “no” si può trovare il modo per andare avanti e credere in se stessi, superando le difficoltà che si presentano. In tal senso i miei progetti fotografici toccano diversi temi e abbracciano la diversità sotto molti punti di vista. Lavoro spesso con una make up artist professionista, Silvia, e il nostro obiettivo è quello di raccontare una bellezza reale, lontana da immagini artefatte dei quali i social sono davvero pieni. Ogni mattina, però, lavoro in clinica veterinaria come segreteria, un lavoro che mi piace tantissimo. Nel pomeriggio invece, sempre con Silvia, mi dedico ai laboratori per ragazzi con disabilità e fragilità.

Come nascono i tuoi progetti? E perché?

Sotto la corazza, ad esempio, è un progetto fotografico di nudo artistico che ho condiviso con Gioele, un ragazzo omosessuale, e che ha l’obiettivo di accendere una riflessione sul fenomeno dell’hate speech. Durante il lockdown ho partecipato a circa 60 interviste e ho attivato anche un salotto virtuale sulla mia pagina Instagram. Non sono mai mancati nei miei confronti gli insulti da parte degli haters. Spesso commentano i miei post e le mie foto, così come accade ed è accaduto a Gioele. Un giorno abbiamo deciso di stilare una lista di tutti gli insulti ricevuti e di tradurli in tutte le lingue del mondo, o quasi. Da lì il passo è stato breve ed è nato così questo progetto fotografico “work in progress”.

Il progetto di danza al buio Blindly Dancing invece, nasce da una sperimentazione e dalla mia situazione personale. La danza è stato il mezzo attraverso il quale mostrarmi agli altri per un talento e non essere vista sempre come la diversa. Ho sempre voluto coltivare la passione per la danza. Quando ho incontrato Antony abbiamo iniziato a studiare seriamente i balli di coppia. Venivamo entrambi da un percorso di studi nel mondo della danza iniziato a 6 anni, ma proprio durante il periodo agonistico sono nate delle difficoltà oggettive. Ad esempio la paura di andare a sbattere o che qualcuno potesse, di proposito, venirti addosso. Stavo andando in crisi e così Antony mi ha detto “devo capire, devo capire com’è ballare senza vedere” e ha deciso di mettere una benda sui suoi occhi. Da lì è nato tutto, si è creato un grande feeling, abbiamo imparato a gestire il corpo senza vedere, ma solo sentendolo.

Elena Travaini fotografata da Costanzo D'Angelo
Elena Travaini fotografata da Costanzo D’Angelo – Abito dipinto a mano da Gaia Proietti Colonna – Make Up Artist Silvia Gozzi

Io sono nata con il retinoblastoma e mia madre si è accorta di questo che io avevo 20 giorni. Il mio è un caso rarissimo, sono stata tre anni in Olanda dove ho trovato un dottore che mi ha salvata. Avrei dovuto subire l’asportazione degli occhi, ma grazie alla chemioterapia e alla radioterapia sono riusciti a preservarli.  Nonostante questo dal destro vedo meno di 1/30, dal sinistro non vedo per niente. Inoltre, le cure fatte non hanno permesso alla cartilagine intorno agli occhi di crescere. Nel 2014 è nato il progetto Blindly Dancing e nel 2016 abbiamo vinto il concorso Ballando on the road e abbiamo portato la nostra performance a Ballando con le StelleNel 2018 siamo stati contattati da una business school di New York e abbiamo portato la danza la buio in America. Nel frattempo abbiamo portato il progetto sulle navi da crociera e nelle piazze delle città più belle d’Europa. Oltre 250.000 persone hanno sperimentato la danza al buio nel mondo, senza distinzione di razza, sesso, colore, nelle scuole, nelle aziende e in qualsiasi posto si possa fare tale sperimentazione.

Hai avuto esperienze di odio online/hate speech? 

L’hate speech può essere molto lesivo se non si ha un carattere forte; tutti i miei progetti si collegano alla volontà di dimostrare come si può superare questo fenomeno. Se da una parte le persone hanno bisogno di un esempio come me, dall’altra io ho bisogno degli altri. Sono gli altri, senza averne consapevolezza, ad accompagnarmi nel mio percorso di crescita personale: ho creato un’immagine perché ero davvero stanca delle prese in giro. Questa stessa immagine mi porta a lottare per i miei sogni, i miei obiettivi, i traguardi futuri. Ho sempre avuto una famiglia che mi ha difesa, ma ogni giorno in cui metto il naso fuori casa incontro qualcuno che mi fa pesare la mia diversità. Da ragazzina mi pesava di più essere diversa; l’accettazione della femminilità è stata difficile. Ho vissuto la fase dell’adolescenza in apparenza con molta tranquillità, sono stata sempre leader anche se spesso non riuscivo a fare le cose che facevano tutte, come ad esempio truccarsi. A scuola ho sempre guidato le rivolte, piuttosto che seguire le maestre. Ho sempre cercato di creare un gruppo e di tenere le persone unite. Ovviamente a casa e davanti allo specchio il rapporto con me stessa era molto diverso; in alcuni casi non ci pensi, altre volte in compagnia di altre ragazze mi rendevo conto che ero diversa. 

Elena Travaini fotografata da Barbara Fiorenzuola
Elena Travaini fotografata da Barbara Fiorenzuola – Make Up Artist Silvia Gozzi – Hair Stylist Rosi Cauteruccio

Qual è la cosa che ti ferisce di più?

La cosa che ferisce di più è l’ignoranza degli adulti. Una sera mentre ballavo con Anthony sono stata derisa proprio da persone adulte. Da allora ho iniziato a raccontare la mia storia sui social. Difficilmente rispondo all’odio con l’odio, il mio papà mi ha insegnato che chi ti attacca ha dei grandi problemi. I social sono pieni di gente stupida, ma questo non ne giustifica un ipotetico utilizzo scorretto. Ci sono giorni in cui mi sento più sicura di me stessa, altri in cui mi sento più fragile. La diversità convive con me, a volte ho paura di non farcela, mi vedo brutta, non vorrei alzarmi dal letto. Pormi grandi obiettivi è il motore che mi fa andare avanti, ma questo non lo faccio mai da sola. Oltre i progetti ho anche una vita e i problemi ordinari: una figlia, la scuola, la casa, l’ex marito, la famiglia dell’ex marito, il marito e così via. Mio marito è l’unica persona che mi capisce al volo perché quando sto male non parlo.

Qual è il consiglio gentile che vuoi lasciare? 

Da soli si cammina, in due si vola. È importante non essere da soli. Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia. Le persone sono fondamentali: le cose si creano quando le persone si aiutano.

Non poteva lasciarci con un messaggio più bello di questo Elena. Condividere ha un valore inestimabile, non trovi? Per conoscerla meglio e non perdere i suoi progetti puoi seguirla su Instagram, la trovi digitando @elenatravainiblindmodel.

Se questa intervista ti è piaciuta ti invitiamo a condividerla attraverso i tuoi canali social e tra le persone che conosci. Ci aiuterai a diffondere pratiche gentili e ad ostacolare l’hate speech. 

Vuoi dirci la tua? Lascia un commento, non vediamo l’ora di leggerlo!