Linguaggio inclusivo: definizione ed esempi per comprenderne l’importanza

Se ne parla già da tempo, ma nonostante questo essere esaustivi è davvero difficile quando si affronta un tema come quello del linguaggio inclusivo. Ciò è dovuto, in modo particolare, a tre fattori chiave:

  • ci troviamo davanti a quella che i linguisti chiamano “riflessione metalinguistica”, ovvero utilizzare la lingua per parlare della lingua stessa
  • l’italiano, per sua natura, non è una lingua neutra
  • la lingua è in costante evoluzione, pertanto siamo alle prese con qualcosa che cambia di giorno in giorno

Nonostante questo, è doveroso provare a dettare delle regole, a scrivere nero su bianco una definizione, a mettersi in gioco per cambiare ciò che “è sempre stato così”. Ad imporlo è la natura stessa del linguaggio inclusivo che, come vedremo, nasce proprio per cambiare vecchie e radicate abitudini, allargare la cerchia degli ascoltatori, includere.

Definizione di linguaggio inclusivo

“Le parole sono importanti” non è solo la citazione che attribuiamo a Nanni Moretti e al protagonista di uno dei suoi film – Palombella Rossa – ma è anche la premessa che giustifica un uso consapevole del linguaggio.

Proprio come insegna il film – il protagonista Michele Apicella richiama una giornalista per la scelta di alcune forme linguistiche – prima di scrivere o parlare è buona abitudine riflettere, pensare e valutare ciò che si sta per dire. Nello specifico, quello che bisognerebbe saper immaginare sono gli effetti che le nostre parole potrebbero avere su chi le ascolta, chi le legge, chi in qualche modo le riceve.

Il linguaggio inclusivo si pone questo grande obiettivo e offre la possibilità di costruire forme di comunicazione prive di stereotipi, pregiudizi e atti discriminatori nei confronti di determinate categorie di persone.

Il linguaggio, inteso come forma di comunicazione, rappresenta la facoltà che più di ogni altra distingue gli essere umani dalle altre specie. Gli atti di parola, però, possono sminuire, offendere, denigrare o escludere, anche quando non c’è intenzionalità. L’utilizzo di un linguaggio non discriminatorio è una forma di rispetto, esprime la volontà di includere, rappresenta il primo passo verso l’inizio di nuove relazioni.

In altre parole potremmo dire che il linguaggio inclusivo è una prassi da adottare al fine di realizzare forme di comunicazione – non solo scritte o orali – che sappiano rappresentare tutte le sfere del vivere sociale, evitando le distinzioni di sesso, origine, colore della pelle, disabilità, orientamento sessuale, preferenze politiche e così via.

Linguaggio inclusivo e categorie discriminate: chi sono le persone fragili?

Chi sono le persone discriminate? Cosa provano quando si sentono escluse a causa di un uso improprio delle parole? Non è facile immaginarlo. I contesti nei quali ciò può accadere sono svariati. Scuola, lavoro, famiglia, società, gruppo dei pari, la comunicazione attraversa e caratterizza ogni nostra azione.

Vi sono delle persone che possiamo definire più fragili di altre. Si tratta di quelle persone appartenenti alle categorie maggiormente escluse dai discorsi o esposte di frequente a forme di comunicazione discriminanti. Nello specifico parliamo di:

  • persone di sesso femminile
  • persone che non si identificano con il sesso biologico
  • persone con disabilità
  • persone appartenenti a determinate etnie
  • persone che professano la loro fede
  • persone che vivono in uno stato di povertà

Probabilmente le categorie citate non sono esaustive, ma ci offrono la possibilità di riflettere sul fatto che forme di comunicazione discriminanti pervadono la nostra vita più di quanto immaginiamo.

Come intervenire? Di chi è la responsabilità? Esistono modelli comunicativi basati sull’inclusività? Se sì, in che modo è possibile adottarli e farli propri? Nella comunicazione l’obiettivo di essere inclusivi è davvero raggiungibile?

Proviamo a rispondere attraverso una serie di esempi e casi pratici.

Parlare inclusivo: case history, esempi e casi pratici

La lingua italiana adotta una serie di convenzioni alle quali le persone, con il tempo, si sono così abituate a tal punto da ritenerle vere e proprie norme. Spesso, però, non è così e questo è il punto dal quale partire per costruire un linguaggio inclusivo.

Il maschile sovraesteso

Si tratta di una delle convenzioni più diffuse e non è inusuale arrivare a non farci caso. Per capire di cosa stiamo parlando facciamo qualche esempio:

Il primo maggio è la Festa dei LavoratoriIl primo maggio è la festa del lavoro
Gli studenti stanno svolgendo una prova praticaLa classe è impegnata in una prova pratica
Benvenuto sul nostro sito web!Siamo felici di averti qui

Queste sono solo tre frasi che sentiamo e leggiamo abitualmente. Sono costruite ricorrendo al maschile sovraesteso, ma basterebbe riflettere qualche minuto per capire che ci sono delle valide alternative e adottare, così, un linguaggio che includa anche le donne.

Esempio di linguaggio inclusivo: no al maschile sovraesteso
Rappresentare le donne nella lingua di tutti i giorni è possibile

La festa dei lavoratori, ad esempio, può diventare “La festa del lavoro”; per definire gli studenti possiamo utilizzare il collettivo “classe”; al posto di benvenuto potremmo utilizzare un più caloroso “Siamo felici di averti qui”.

Strategia e creatività permettono di costruire un discorso sicuramente più inclusivo. Chiediamo aiuto alle perifrasi e ai sinonimi, proviamo a cambiare il punto di vista nella frase, non dimentichiamoci dei nomi collettivi e astratti, cerchiamo di fare a meno di sostantivi, pronomi e aggettivi che non siano neutri.  Prestiamo attenzione al participio passato: quando ci troviamo davanti ad un tempo composto e l’ausiliare è il verbo essere è bene ricordare che il participio concorda sempre in genere e numero con il soggetto.

Anche qui, però, possiamo trovare delle valide alternative semplicemente cambiando il soggetto della frase.

E se dobbiamo fare riferimento ai gruppi di persone? Andiamo alla ricerca dei sostantivi generici che definiscono le categorie. Ad esempio, per i indicare “i dottori” possiamo utilizzare anche “personale medico”; “professori” e “docenti” hanno lo stesso significato di “corpo docente”; sostituiamo “scienziati” con “comunità scientifica”.

Ad ogni modo il grado di rappresentazione delle donne all’interno del linguaggio è solo uno degli aspetti sui quali occorre lavorare. 

Le parole della disabilità

Quando parliamo di linguaggio inclusivo, infatti, dobbiamo fare i conti con altrettante espressioni, parole e modi di dire che a prima vista appaiono innocue, ma in realtà non lo sono.

Disabile, handicappato/a, diversamente abilePersona con disabilità

Un esempio lo troviamo tra le parole che definiscono la disabilità, ovvero disabile, handicappato/a, diversamente abile. Cosa hanno di sbagliato? Sono totalizzanti e forniscono l’immagine di un gruppo omogeneo. 

Linguaggio inclusivo e disabilità
Parlare di disabilità è fondamentale, ma è necessario farlo utilizzando le parole giuste

Al contrario, l’espressione “persona con disabilità” lascia intendere che la persona possiede molteplici tratti e che la disabilità è solo uno di essi. Di conseguenza diremo persone cieche, persone non vedenti o persone con disabilità visiva invece di cechi; persona con autismo o persona autistica invece di autistico e così via.

Oltre il genere binario

A non sentirsi rappresentate nella lingua italiana sono anche le cosiddette persone non-binary, ovvero quelle persone che non si riconoscono nella costruzione binaria del genere.

La necessità è quella di esprimersi attraverso un genere neutro, caratteristica che la lingua italiana non possiede. Negli ultimi anni, proprio a ragion di ciò, sono state avanzate delle proposte che si pongono l’obiettivo di superare l’ostacolo e aiutare queste persone a fare cose scontate, come ad esempio descriversi o qualificarsi.

Il linguaggio inclusivo permette di superare la visione binary uomo donna
Le persone non binary spesso non si sentono rappresentate nei discorsi

Se da una parte alcune persone non binarie preferiscono mescolare maschile e femminile, dall’altra c’è chi utilizza la u come vocale finale – Ciao a tuttu -, chi ha scelto la via della ə – Ciao a tuttə -, chi ricorre all’asterisco – Ciao a tutt*.

Si tratta di una possibilità poiché, come sappiamo bene, la lingua italiana si basa sulla distinzione sessuale binaria e cambiare la sua struttura richiede un lungo lavoro. Al tempo stesso sappiamo che in questo modo stiamo lanciando un segnale alla comunità dei parlanti, ovvero la volontà di includere.

Linguaggio e pregiudizi

Impossibile negare che a volte ci troviamo davanti a parole, frasi o espressioni dalla dubbia interpretazione. A chi non è capitato, almeno una volta, di utilizzare un termine e subito dopo pensare: “Oh no, ma io non intendevo quello!”.

La nostra lingua raccoglie al suo interno una serie di termini che, sulla base di come sono utilizzati nel tempo, sono carichi di significati aggiunti o, addirittura, hanno smesso di essere funzionali in alcuni contesti.

Linguaggio inclusivo e pregiudizi: il caso delle parole rom e nomade
Scegliere le parole giuste aiuta a non alimentare stereotipi e pregiudizi

Si pensi, ad esempio, ai termini rom e nomade. Sul vocabolario Treccani alla voce nomade si legge:

nòmade agg. e s. m. e f. [dal lat. nomas -ădis, gr. νομάς -άδος, propr. «che pascola, che va errando per mutare pascoli», dal tema di νέμω «pascolare»]. – 1. Di gruppo etnico (e suoi appartenenti) che pratica il nomadismo: popolo, stirpe, tribù n., pastori n.; come sost. (spesso riferito, in partic., agli zingari): una tribù, una carovana, un accampamento di nomadi. Per estens., di ciò che è caratteristico delle popolazioni nomadi: fare vita nomade. 2. fig. Di persona o gruppo che non ha fissa dimora e muta frequentemente residenza, o che si sposta continuamente da un luogo a un altro (anche per motivi inerenti all’attività svolta): essere, sentirsi un n.; una compagnia di (artisti) nomadi.

Oggi sappiamo bene che il termine nomade ha perso il suo significato originale e viene spesso utilizzato per connotare negativamente le persone di etnia Rom che vivono nel nostro paese. Quante di loro sono davvero nomadi? Nella maggior parte dei casi, e soprattutto in relazione al fenomeno degli immigrati di seconda generazione, ci troviamo davanti a persone che non hanno mai vissuto il nomadismo nella loro vita. Pertanto il termine nomade, così come accade per zingaro, evoca un’idea di degrado e pericolo per la sicurezza della cittadinanza.

La stessa parola Rom, infine, viene utilizzata spesso con funzione dispregiativa, alludendo non alla nazionalità ma a persone violente e pericolose. Un uso scorretto di questi termini ha portato ad una correlazione inesistente, ovvero quella tra nazionalità Rom e persone pericolose, evocando sentimenti di razzismo nella collettività.

Essere consapevoli di come evolve la nostra lingua, di quali significati si nascondono dietro determinate parole, di come la collettività percepisce determinati discorsi è fondamentale per comunicare senza escludere.

Saper comunicare utilizzando un linguaggio inclusivo non è l’obiettivo da raggiungere, quanto piuttosto un processo che dura una vita. La lingua, infatti, è in costante mutamento e risente fortemente del contesto sociale e dell’utilizzo che di essa fanno i parlanti. Se da una parte non potremo affermare di aver raggiunto il nostro scopo, dall’altra possiamo prepararci ad accogliere i cambiamenti e a rivedere le nostre abitudini linguistiche ogni qualvolta ce ne sarà bisogno

Che cos’è la comunicazione gentile?

La comunicazione gentile è una filosofia di vita.
La gentilezza è un fiore nel deserto che dona a chi lo osserva la speranza di un mondo a colori anche quando intorno c’è il grigio.
L’immagine di quel fiore che cresce forte e rigoglioso nonostante le avversità, è un riferimento che riportiamo ogni giorno nelle nostre azioni, nel nostro approccio al lavoro e nella gestione delle relazioni personali. Un modo di vivere che pone al centro l’empatia. Mettersi nei panni dell’altro è un primo passo per attuare uno scambio e creare sin da subito un rapporto di fiducia nel prossimo.
Fidarsi delle persone è fondamentale per capire quali sono le cose importanti e come affrontare gli ostacoli.
La comunicazione gentile ha poi un potere dilagante, che quando si attiva non si ferma più!
Per questo invitiamo voi lettori a non rinunciare mai ad essere cortesi, perché il vostro gesto gentile diventerà di ispirazione per qualcuno e si espanderà, vincendo con caparbietà ogni violenza verbale e gestuale.

Cosa ci ha ispirato

Arrivare a questa consapevolezza non è stato facile e prima di procedere con la nostra idea di comunicazione gentile, crediamo siano doverosi alcuni grazie.
Ringraziamo per prime le nostre famiglie, il fulcro originario che ci ha trasmesso l’importanza di comunicare senza essere eccessivi e di rapportarci all’altro con curiosità.
È fondamentale poi dire grazie a chi negli anni ci ha fatto credere che un mondo gentile non potesse esistere, a chi ha divulgato parole di rabbia spacciandole per dissenso e a chi ha diffuso disinformazione con l’obiettivo di abituarci alla paura.
Esprimiamo gratitudine infine alla capacità di comunicare, parte fondamentale della nostra esistenza e viatico per prospettive sempre nuove. Una parola, un gesto, un’immagine, tutto ci dice qualcosa, e la scuola di comunicazione gentile nasce proprio per dare a tutti la possibilità di sentirsi parte di un universo che si reinventa costantemente nel nome delle buone pratiche.
Dalle favole di Gianni Rodari ai testi pungenti di Vera Gheno; dalle teorie dell’intelligenza emotiva agli studi sul cyberbullismo e le fake news, il nostro cosmo è animato da spunti e tematiche che ruotano intorno ad un unico fuoco centrale: comunicare con gentilezza! E allora perché non renderlo un’idea strutturata, con piccole regole da seguire, allo scopo di realizzare una rete di persone gentili?!

Scuola di comunicazione gentile: un progetto open

Così nasce la Scuola di Comunicazione Gentile!
Un progetto pronto a vagliare le proposte di tutti. Ciascuno può proporsi come parte del team e collaborare per creare percorsi condivisi e progetti innovativi con l’obiettivo di diffondere pratiche gentili.
I nostri programmi sono rivolti alle istituzioni scolastiche, alle aziende, alle pubbliche amministrazioni, ai luoghi di condivisione, alle famiglie e ad ogni tipologia di comunità che vorrà intraprendere un percorso gentile. Frutto del lavoro insieme sarà “Il Manifesto”, il prodotto tangibile del confronto tra persone che condividono un ambiente di lavoro, di relazione o una passione comune.
Potete farvi un’idea di che cos’è per noi il manifesto, leggendo le “10+ 1 dritte per diventare comunicatori gentili”.
I desideri di gentilezza di ognuno saranno disponibili online per chiunque vorrà condividerli e farli propri. Si creerà così una rete, che si collegherà ad altre reti per riempire il mondo di prassi gentili!
E voi di quali categorie gentili volete diventare rappresentanti?
Troviamo insieme il percorso ideale per la vostra community. Diffondere gentilezza sarà come vivere la primavera tutto l’anno: il mondo si risveglia, si colora e mette in circolo tanta energia positiva!
Partecipa al progetto e iniziamo insieme un cammino per rendere il web un luogo più sicuro e la comunicazione quotidiana uno strumento efficace per esternare la propria visione personale.